Giovedì 7 febbraio 2019.
Non pensavamo fosse possibile, ma si, quella mattina c'era la fila davanti ad un ristorante per la colazione. Noi, preferiamo andare a caso e scegliere un posto che sembra carino.
Una delle attività principali a Puerto Viejo è noleggiare una bici e andare a Manzanillo, una decina di chilometri verso sud. Si dice che la strada sia splendida da fare in bici e che ci si gode sia il parco che il tragitto fino al parco. Ovunque (Lonely Planet, internet, cartelloni pubblicitari) lo consigliano. Sembrava quasi obbligatorio. Anche noi avevamo deciso di farlo. Ci aspettavamo una stradina ciclabile dedicata tra la spiaggia e la giungla, quasi come visitare un parco nazionale con una bella mountainbike, una di quelle che non ti accorgi neanche che stai pedalando.
Per fortuna, all'ultimo abbiamo optato per andare in macchina. La strada per raggiungere Manzanillo è una sola ed è lungi dal assomigliare ad una stradina ciclabile. È una normalissima strada asfaltata a due corsie, condivisa con auto e bus. Non tanti bus ma diverse auto.
Mentre andavamo in la, superavamo i poveri turisti accaldati e affaticati che erano cascati nella trovata di marketing dei noleggiatori di bici. Una collina dopo l'altra, si tiravano avanti con bici monomarcia, anch'esse lungi dall'assomigliare a mountainbikes. Tra il caldo e l'afa, arrivavano già stanchi all'entrata del parco. Dopo il giro nel parco, che può durare anche tutta la giornata, dovevano poi rifarsi quella decina di chilometri su e giù tra le colline di quella normalissima strada sconsigliabile da percorrere con una bici, soprattutto se a noleggio.
L'entrata è gratuita, le infrastrutture sono in stato di abbandono e i sentieri non sono curati. Non ci sono indicazioni ed facile sbagliare strada. La nostra meta era la punta in fondo al sentiero, nonostante dovessimo rimanere paralleli alla costa, abbiamo preso qualche sentiero sbagliato. C'è un sentiero principale molto largo (che sembra quasi una vecchia strada) che costeggia il mare all'interno della giungla e diversi sentieri che portano giù alle varie spiaggette. La fregatura è che le spiaggette non sono interconnesse tra loro, quindi ogni volta bisogna tornare al sentiero principale.
Le poche spiaggette che abbiamo visto erano molto carine. La giungla termina direttamente in mare sulla tipica sabbia caraibica.
Alla spiaggetta nella foto ci siamo fermati per una pausa. Solo dopo diversi minuti abbiamo notato un paio di scimmie urlatrici proprio in cima agli alberi sopra le nostre teste.
Su uno dei sentieri che portava ad una spiaggetta ci siamo imbattuti in un gruppo delle famose rane rosse. Piccole ranette di pochi centimetri completamente rosse. La particolarità principale di queste rane è che sono velenose. Ci hanno spiegato che il solo tocco è molto doloroso e se per caso il veleno entra a contatto con una ferita si può morire.
Ce n'erano diverse, tutte molto piccole e molto rosse.
Quando ce le si ha difronte, a pochi centimetri, è difficile credere che una animaletto all'apparenza tanto innocuo potrebbe uccidere una persona. Un serpente ok, morde ed è aggressivo, ma una ranetta? Come fa ad essere così pericolosa? La tentazione di toccarne una era forte.
Fortunatamente riusciamo a controllarci e ne usciamo sani e salvi.
Continuiamo lungo il sentiero. C'è fango un po' ovunque.
Dopo un paio d'ore di marcia le sentiamo. Sentiamo le potenti urla delle scimmie urlatrici. Qualche decina di metri davanti a noi stavano attraversando il sentiero una dopo l'altra. Da un'albero all'altro, passano tutte dallo stesso punto. Sono molto caute, sembrano quasi timorose. Al contrario delle scimmie cappuccine, non saltano da un ramo all'altro, anzi, hanno sempre almeno un punto d'appoggio sicuro. La loro coda è prensile e la staccano dal ramo solo quando hanno afferrato saldamente il ramo successivo.
Dopo un po' arriviamo finalmente alla nostra meta, Punta Mona, dove troviamo una comunità naturalista all'opera. La spiaggia non era un gran che, però da li si vede un'isoletta da cartolina (vedi foto) tipica del paesaggio caraibico. Se avessimo avuto più tempo, magari avremmo tentato la traversata a nuoto.
Stava diventando tardi e dovevamo ancora tornare alla macchina e poi farci ancora qualche ora di strada. Dopo un tuffo e una pausetta in spiaggia, attiviamo la modalità sport. Ritorniamo lungo il sentiero a passo sostenuto e senza pause.
Lungo il sentiero, un cavallo ci sbarra la strada. Era sellato, ma lì da solo. Con tutti gli animali che ci sono nella giungla, un cavallo non ce lo aspettavamo. Dopo poco però è arrivato anche il suo proprietario.
Dopo solo un'ora e mezza arriviamo quasi all'entrata de parco, dove incrociamo due poliziotti in moto in tenuta antisommossa e con fucili d'assalto. La sera prima Dani ci aveva spiegato che pochi giorni prima hanno arrestato un'importante banda di narcotrafficanti a Puerto Viejo e che ora ci sono questi poliziotti pronti alla guerriglia che girano per monitorare la situazione e prevenire eventuali attacchi.
Incrociandoli, li salutiamo. Ci rispondono: "Pura vida".
In quale altro posto al mondo dei poliziotti in tenuta da guerriglia risponderebbero mai pura vida?! Che paese fantastico!
Pura vida è il motto della Costa Rica, viene utilizzato un po' per tutto: per salutare, per augurare una buona giornata, per rispondere a delle scuse, ecc.
Arriviamo finalmente alla macchina. Ci cambiamo, ci prepariamo e partiamo. Giusto il tempo di fare manovra ed ingranare la marcia che qualcuno ci fischia. Chi sarà? Cosa vorrà mai? Il posteggiatore lo avevamo già pagato. Da lontano, un'uomo ci fa segno. Stavamo partendo con il baule aperto...
Lo chiudiamo, ringraziamo e andiamo a ricuperare gli zaini all'hotel.
Andiamo a prendere Dani che viene con noi a Turrialba per fare rafting. Mentre andiamo a prenderla, lasciamo veloce Olivia in paese per farsi un giro tra le bancarelle. Al nostro ritorno, dieci minuti più tardi, tra la gente e il traffico non troviamo più Olivia. È sparita, non la vediamo più. Non riusciamo a trovarla. Cosa sarà successo? Cerchiamo di non pensare al peggio.
Nel panico, cerchiamo di calmarci e di ragionare freddamente sul da farsi. Come prima cosa, posteggiamo la macchina sul bordo della strada e Luca corre a comprare due spiedini ad una bancarella. Avevamo fame, è una questione di priorità.
Giusto il tempo di riscaldare gli spiedini e Olivia riappare lamentandosi che le siamo passati davanti senza fermaci e ha dovuto farsi tutta la strada a piedi (100 metri) per raggiungerci.
Il peggio è scongiurato, possiamo finalmente metterci in strada per Turrialba. Ah no, nono, non possiamo ancora partire, la golosa Olivia vuole una crep. Allora andiamo a cercare una creperia. Ne troviamo una, ma è chiusa. Ne troviamo una seconda, che guarda caso è gestita da italiani.
Finalmente partiamo. Passando da Limón Dani ci spiega che è il posto più pericoloso in Costa Rica ed effettivamente si nota. Ogni casa ha le grate alla finestre e alle porte, molte sono totalmente recitante e le auto sono posteggiate all'interno delle grate. Vediamo addirittura ristoranti che servono i piatti attraverso le grate. Sembra davvero pericoloso qua.
Poco dopo Limón, ci fermiamo veloce ad un negozio per comprare qualcosa da mangiare. Oltre al personale della sicurezza e le telecamere, in quel negozio ci sono le foto dei latri appese al muro.
È ormai buio da un po', stiamo guidando su quella strada molto trafficata con migliaia di camion e abbiamo fame. Finalmente siamo abbastanza lontani da Limón per poterci fermare da qualche parte per mangiare. Troviamo una soda (ristorantino locale) ancora aperta e senza grate, dobbiamo fermarci. Ci servono la cena molto in fretta e non costa molto. Perfetto.
Continuiamo per Turrialba. L'ultimo tratto è letteralmente 50 chilometri di curve. La strada è buia e sale in mezzo alle montagne. Sbagliamo strada, ma ce ne accorgiamo quasi subito.
Dopo quattro ore di strada, verso mezzanotte arriviamo finalmente a Turrialba. Andiamo a dormire all'ostello Casa de Liz.
Domani ci aspetta una giornata di rafting.
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